Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
Matelda è la poesia
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 44, p. 3
Data: 20 febbraio 1955


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   La trascendentale buaggine di tutti i commentatori della Divina Commedia, dal Trecento al Novecento, ha avuto la sua illustrazione più scandalosa nel caso della misteriosa Matelda del Paradiso Terrestre.
   Vi ricordate? Dante è un poeta ed è stato accompagnato fino a quel punto dal poeta Virgilio e dal poeta Stazio e scopre, al di là del fiume che lo divide dall'Eden, una bella donna che sta scegliendo fior da fiore e cammina in mezzo ai fiori e ride e canta « come donna innamorata », tanto che a Dante fa l'effetto di una che si scaldi ai raggi d'amore.
   Questa apparizione così divinamente idillica, così giovanilmente primaverile, così lietamente amorosa, illuminata dal riso e accompagnata dal canto, dovrebbe ispirare ai lettori ed ai commentatori sentimenti e pensieri tutti poetici, cioè lontani da ogni scolasticale allegoria teologica. Ma la pedanteria dei pedanti è così petulante, la ciecaggine degli orbi è così incurabile, la sordità dei sordi così inveterata, l'aridità degli aridi così dura e secca che, dal Trecento in poi, si sono dati a Matelda i significati più diversi ma tutti astratti, concettuali, filosofici, morali, religiosi, mistici e non s'è pensato mai, neppure una volta, ad accennare a quello più luminosamente evidente.
   S'è pensato, ad esempio, alla Vita attiva, all'Amore della Chiesa, alla Grazia preveniente e cooperante, alla Religione, alla Perfetta pacificazione, alla Scienza filosofica, all'Innocenza perduta, alla Mistica pratica, all'Autorità ecclesiastica e perfino, ed è tutto dire, al Principio monarchico!
   Soltanto Giovanni Pascoli, che era un poeta, si avvicinò confusamente alla verità quando pensò che Matelda rappresentasse l'Arte, ma anche lui dette all'Arte un significato puramente e rigidamente razionalista definì l'Arte con le parole di San Tommaso, cioè come « Abito operativo » e « Virtù intellettuale » (Summa, I, II, 57, 3). Siamo ancora, come si vede, nella sfera glaciale del gergo filosofico.
   Non parlo neppure delle Matildi storiche che son state via via proposte dai dantisti, quali la Contessa Matilde di Toscana e altre tre oscure Matildi tedesche, perchè Dante, vedendo quella bella donna che coglie i fiori cantando ai confini del Paradiso Terrestre, l'ha immaginata presente in quel luogo fin dal primo giorno del Purgatorio e non può trattarsi dunque di un personaggio vissuto sulla terra.
   Ma quel che sorprende, meraviglia, stupisce e quasi offende l'onore dell'intelletto umano, è che nessuno abbia visto e sentito l'antagonismo assoluto tra la bella figura evocata da Dante e quei freddi, gelidi, scolastici, metafisici, dommatici e moralistici simboli che i togati e laureati chiosatori del poema hanno appiccicato sul ridente viso della innamorata Matelda. Essa è per me e per chiunque sappia immaginare e sentire il simbolo della Poesia e non può essere altro che la figurazione poetica della Poesia quale poteva concepirla un grande poeta. Dissi già nella mia Storia della Letteratura Italiana, che Virgilio non è il simbolo della Ragione umana come i più scioccamente credono, ma della Poesia intesa come Arte in generale. Ora Virgilio lascia Dante proprio alle soglie del Paradiso Terrestre ed è insieme a lui anche un altro poeta, cioè Stazio, ed è naturale che il poeta Dante venga consegnato alla Poesia d'Amore, impersonata in Matelda, che sarà tramite tra lui e l'Amore impersonato in Beatrice.
   Il Paradiso Terrestre fu il luogo della beatitudine perfetta, quella stessa che gli uomini riacquistano, sia pure per brevi istanti, per mezzo della poesia. I fiori che Matelda sceglie e che fioriscono sotto i suoi passi sono le immagini e le bellezze variopinte della poesia, quelle che nel Medio Evo si chiamavano, appunto, i fiori rettorici. Matelda immerge Dante nelle acque del Lete per fargli perdere la memoria del peccato e lo immerge nelle acque dell'Eunoè per risvegliare in lui la memoria del bene: essa dunque, al pari della Poesia, fa dimenticare i mali e resuscita nell'anima le gioie.
   Matelda stessa confessa velatamente il suo stretto rapporto con la Poesia quando nel canto XXVIII (v. 139 e sgg.) cita gli antichi poeti i quali, parlando dell'età dell'oro, « Forse in Parnaso esto loco sognaro », cioè furon degni di immaginare per ispirazione poetica la felicità perfetta del Paradiso Terrestre del quale Matelda è la prima guida al sognante poeta.
   Non credo che vi sia bisogno di aggiungere altro per confermare una verità così chiara ma vorrei pure arrischiare, a patto di esser giudicato impronto e vanaglorioso, la pretenzione che i poeti, specialmente i grandi, vanno interpretati più poeticamente che filosoficamente e che perciò ì poeti sono meglio conformati e preparati per commentare fedelmente e profondamente le opere dci poeti.


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